I due dittatori, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Bosco sacro, nel cui fondo vedesi la facciata di magnifico tempio, con recinto all’intorno di querce e di lauri, tutti adornati di spoglie e di trofei militari, illuminati di notte con fiaccole accese e con lampade pendenti.
 
 SCENA PRIMA
 
 QUINTO FABIO ed ERMINIO
 
 QUINTO FABIO
 Or che alle tue ferite
 prestò medica destra util soccorso,
 fuor del campo romano
 trarrai libero il piè. Qui starti occulto
5per te fora periglio e per me colpa.
 ERMINIO
 Tratta con tal virtù Fabio i nimici?
 QUINTO FABIO
 I nimici di Fabio
 cessano con la pugna.
 ERMINIO
 Nulla posso temer tuo prigioniero.
 QUINTO FABIO
10Non, se qui fosse il dittator mio padre,
 ma dal fiero Minuzio,
 che le veci or ne tien, tutto si tema.
 ERMINIO
 Oh dio!
 QUINTO FABIO
                  Che ti trattien? Che ti addolora?
 ERMINIO
 Lasciar Velia tra voi, che in dolce nodo
15di vicino imeneo dovea bearmi.
 QUINTO FABIO
 Si consoli il tuo amor. Preda sì illustre
 non vantano i Romani.
 ERMINIO
 Ah, che il bel sen trafitto avrà nel cieco
 furor della vittoria il vostro Marte.
 QUINTO FABIO
20Donde il timor?
 ERMINIO
                                Nel tempo
 del fier conflitto, ella da’ lidi insubri,
 ove il suo genitor tien sede e regno,
 giunse al vallo africano. Io n’ebbi il messo;
 e amor spingeami a lei, non mai veduta;
25ma nel fervor dell’anche incerta pugna,
 onor mi astrinse a non lasciar vilmente
 la mischia e i miei. Fo il mio dover. La sorte
 si dichiara per Roma.
 Fuggono i Peni. Io con più piaghe in seno
30l’ultima attendo...
 QUINTO FABIO
                                   E di salvarti allora,
 non di vincerti, Erminio, ebbi la gloria.
 ERMINIO
 Cedo al destin. Mi rendo a Fabio. Intanto
 entrano i vincitori
 nelle tende numide. Or di’ se a torto
35piango il mio bene o prigioniero o morto.
 QUINTO FABIO
 Sinor ti fa infelice
 più il sospetto che il male.
 A me lascia il pensier di trarne il vero.
 ERMINIO
 Pietoso amico, in te riposo e spero.
 QUINTO FABIO
40Poco rimane al sacrifizio; e prima
 che Minuzio e i tribuni escan del tempio,
 tengan te l’ombre e le mie tende ascoso.
 ERMINIO
 Oh, mi consoli il tuo ritorno!
 QUINTO FABIO
                                                      E tanto
 per non vista beltà si affligge il core?
 ERMINIO
45Da stima e da dover nasce anche amore.
 
    So che alma nobile
 e vago aspetto
 tien l’almo oggetto
 che il mio pensiero
50formando va.
 
    Ma dell’immago
 forse è più vago
 l’oggetto vero
 di quell’amabile
55gentil beltà.
 
 SCENA II
 
 QUINTO FABIO
 
 QUINTO FABIO
 Che si salvi il guerrier ligure prence,
 gloria è di Fabio, util di Roma. In esso
 toglier posso a Cartago un gran sostegno.
 L’anime generose
60non sanno essere ingrate. Ersilia ancora
 nol sia per me. Dall’armi
 ho l’arbitrio su lei;
 ma da amor la conquista io ne vorrei.
 
    Frutto acerbo,
65svelto a forza dalla pianta,
 non ha grazia e non sapor.
 
    Tormentoso è quel diletto
 che si ottien con tirannia;
 né goder sa vero affetto,
70senza il cambio dell’amor.
 
 SCENA III
 
 MINUZIO, OSIDIO, tribuni, soldati, eccetera, uscendo dal tempio, e QUINTO FABIO
 
 MINUZIO
 Un valor fortunato, un pronto ardire,
 romani, ha vendicato il danno e l’onta
 o dell’altrui sciagure
 o dell’altrui lentezze. Il sì feroce
75Annibale per noi non è più invitto.
 QUINTO FABIO
 (Di qual poca vittoria ei va superbo!)
 MINUZIO
 Grazie agli dii, lode all’olimpio Giove
 e al quirin Marte. Accette
 fur le vittime al cielo; e ne diè segno
80nelle viscere monde e nella fiamma
 non torbida né obliqua.
 OSIDIO
 D’altro e maggior trofeo lieti presagi.
 MINUZIO
 Lo avremo, amici. Intanto
 le scuri, ancor digiune
85del sangue ostil, quello ne bean che scorre
 de’ prigioni nimici entro le vene.
 QUINTO FABIO
 Minuzio, in petto inerme
 il vincitore incrudelir non usa.
 MINUZIO
 Di Annibale lo fa l’odio feroce
90e giustifica il nostro.
 OSIDIO
 Altre leggi ha Cartago, altre ne ha Roma.
 MINUZIO
 E Minuzio ha le sue. Reo fia di morte
 chi deluda l’editto. Ite, o ministri. (Partono alquanti de’ romani soldati)
 QUINTO FABIO
 (Buon per Erminio mio, che il tenni ascoso).
 
 SCENA IV
 
 VELIA, ARISBE con seguito d’altre schiave e suddetti
 
 VELIA
95Non tutto uscì ’l comando
 della tua crudeltà. Son figlie e spose,
 o s’altro vuoi, de’ miseri numidi,
 queste che al piè ti scorgi, o fier romano.
 Pari col sangue esse han la colpa e pari
100abbiano ancor la sorte.
 Né me esenti al furor della tua legge
 l’esser d’itala stirpe. Ho i ceppi stessi;
 ho il lor sesso; ho il lor odio; e se più chiedi,
 ho, tutto mio delitto,
105una giusta pietà per gl’infelici.
 MINUZIO
 Che magnanimo brio!
 QUINTO FABIO
                                           Che core invitto!
 ARISBE
 Duce, costei, che udisti
 favellarti sì ardita e generosa,
 mossa è da sua virtù. Né di Cartago
110né di Roma il destin l’ange o la preme.
 Ma se conoscer vuoi dove tu possa
 infierir con ragion, conosci Arisbe.
 OSIDIO
 (Nota purtroppo è a questo cor).
 ARISBE
                                                             Mi è patria
 Cartago; il grande Asdrubale mi è padre;
115e benché l’esser donna a me non lasci
 trattar ferro letal, posso lusinghe,
 sguardi, vezzi e cent’arti usar d’amore,
 perché nel roman campo
 entrino gelosie, discordie e risse;
120e lo farò; me ne lusingo. Il male
 previeni. Il genio appaga; un cenno adempi
 che noi ponga tra i forti e te fra gli empi.
 MINUZIO
 Le nostre ire non sono
 d’indole sì spietata
125che si stendano in voi, belle nimiche.
 Osidio, è vaga Arisbe; occhio ha vivace. (Ad Osidio in disparte)
 OSIDIO
 (Ahi, qual rival!)
 MINUZIO
                                  Ma un certo esce dall’altra (Piano ad Osidio)
 lume gentil...
 OSIDIO
                           Che già t’incende e sface. (Piano a Minuzio)
 QUINTO FABIO
 Cupido ei fissa in te lo sguardo. Ersilia, (Piano a Velia)
130temo di tua beltà l’usate prove.
 VELIA
 Il tuo acquisto difendi e non soffrire (Piano a Quinto Fabio)
 ch’io di peggior catena abbia a dolermi.
 OSIDIO
 Sarà un tanto amator gloria di lei;
 ma in Arisbe, mia spoglia,
135non abbia altri ragion.
 ARISBE
                                            Comun l’ha teco
 Valerio ancor. Torni da Roma anch’egli;
 e in faccia a lui del tuo trofeo sostieni
 i titoli, o tribuno.
 Né creder già che in sua difesa io parli
140spinta da facil genio. Odio egualmente
 e Valerio ed Osidio e quanto è Roma.
 Ma pur deggio esser giusta; e tu, Minuzio,
 giudica senza affetto e fuor d’inganno.
 Ma in qualunque tu scelga, avrò un nimico;
145e in qualunque mi ottenga, avrò un tiranno.
 OSIDIO
 Dunque eterne in quel cor l’ire saranno?
 ARISBE
 
    Non ti lagnar. Sincero
 l’odio ti parla almeno.
 Se al labbro lusinghiero
150chiedi speranze e vezzi,
 vezzi e speranze avrai
 quante vorrai da me.
 
    Scegliti i finti affetti
 o i liberi disprezzi;
155nell’odio o nell’inganno
 mi riderò di te.
 
 SCENA V
 
 MINUZIO, OSIDIO, QUINTO FABIO e VELIA
 
 MINUZIO
 Va’. Previeni il rival. Ma dura impresa (Ad Osidio)
 hai tolto a superar. L’Africa tutta
 cinge quel fiero core.
 OSIDIO
160Mia la fer l’armi e mia faralla amore.
 
    Fiero labbro e ciglio austero
 non si accorda col pensiero
 né col cor della beltà.
 
    Sdegni ostenta in suo decoro
165e in trofeo, più che in martoro,
 di un’amante fedeltà.
 
 SCENA VI
 
 MINUZIO, QUINTO FABIO e VELIA
 
 QUINTO FABIO
 Nulla temer. La fede (Piano a Velia)
 ti difende di Fabio
 amante...
 VELIA
                     Il so, di gloria e generoso. (Piano a Quinto Fabio)
 MINUZIO
170Nato appena, il mio amor freme geloso.
 Della sua prigioniera (A Quinto Fabio)
 Fabio non è sì mal gradito agli occhi,
 quale il misero Osidio a quei di Arisbe.
 VELIA
 Taci. Per te risponderò. (Piano a Quinto Fabio) Non entra
175sconoscenza, o Minuzio, in cor gentile.
 Ei nel punico vallo a me fu scudo
 da insulti ed ire; e tal mi rese onore
 che il vincitor non riconobbi e appena
 sentii la mia catena.
 MINUZIO
180Da un caro vincitor tutto si soffre.
 VELIA
 Nobil cor non costrigne a sofferenze.
 MINUZIO
 Ha le sue violenze anche il rispetto.
 VELIA
 Sembra fosco ogni lume ad occhio infermo.
 MINUZIO
 Il troppo confidar tragge a periglio.
 VELIA
185Qual periglio t’infingi in chi ha virtude?
 MINUZIO
 Vi son cimenti, ove virtù si obblia.
 QUINTO FABIO
 Un più lungo tacer viltà saria. (A Velia)
 Duce, da ciò che parli,
 ciò che mediti intendo.
190Ma Ersilia è mia conquista.
 Mia l’armi e mia la fanno
 Roma e le leggi.
 MINUZIO
                                Ersilia, i tuoi begli occhi
 già del tuo vincitor t’han vendicata.
 VELIA
 Sei l’interprete tu del cor di Fabio?
 MINUZIO
195Fabio ne’ suoi trionfi
 vanta anche i ceppi suoi.
 QUINTO FABIO
                                                Ceppi sì illustri
 fan gloria a chi li soffre
 e forse invidia a chi gl’insulta.
 MINUZIO
                                                         E in Roma
 si udrà amante quel Fabio
200che n’è l’alta speranza? Amante il figlio
 d’un dittator che nel pensier rivolge
 le non anche tentate eccelse imprese?
 Che direbbe il gran padre in rivederti
 in affetti sì molli
205vanamente avvilito? Ah, si risparmi
 alla canizie sua tanto cordoglio
 ed alla gloria tua tanto rossore.
 In cor romano è debolezza amore.
 QUINTO FABIO
 Ogni altro che Minuzio esser l’austero
210censor dovria de’ giovanili affetti.
 MINUZIO
 Saprei soffrirli in altro tempo. Or tutti
 da noi li vuol la patria.
 QUINTO FABIO
                                            Ov’uopo il chiese,
 le mancò mai di Fabio il zelo e l’opra?
 MINUZIO
 Nobil destrier, pria di toccar la meta,
215non divertisce il corso. Ersilia è tua.
 Giusta mercé che si riserba al prode,
 non gli si toglie. Io ne sarò il custode.
 QUINTO FABIO
 Tu suo custode? E qual ragion?...
 MINUZIO
                                                              Tribuno,
 non trasportarti oltre il dover. Né verga
220manca qui né littor. Vanne e ubbidisci.
 QUINTO FABIO
 Ubbidirò; ma troppo
 d’un comando ti abusi
 che in deposito tieni ancor per poco.
 Verrà il tuo punitore e ti faranno
225tremar fino i tuoi stessi
 colpevoli trofei. Ti lascio, Ersilia;
 e ti lascio costretto.
 All’altrui tirannia questo almen deggio
 favor, che senza colpa
230ha parlato il mio amor. Forse più audace
 sarà l’altrui.
 VELIA
                         Ma non più fortunato.
 QUINTO FABIO
 Minuzio intenda e Fabio è vendicato.
 
    Dell’oltraggio che mi fai (A Minuzio)
 non avrai tutto il diletto.
235Vedrò ancor l’altero aspetto
 ricoprir vergogna e pena.
 
    Parto, Ersilia. Il tuo bel core (A Velia)
 non obblii che mi sei tolta
 da rea forza e che il mio amore
240rispettò la tua catena.
 
 SCENA VII
 
 MINUZIO e VELIA
 
 MINUZIO
 Il duol, che ti si sparge, Ersilia, in fronte,
 non vien da indifferenza.
 VELIA
 Serva al primo signor, sapea qual fosse
 il peso de’ miei ceppi.
 MINUZIO
245Men gentil mi paventi o meno amante?
 VELIA
 Gentilezza sperar da chi usa forza?
 MINUZIO
 Mi valsi del poter, da te costretto.
 VELIA
 In tua discolpa, e che fec’io?
 MINUZIO
                                                      Piacermi.
 VELIA
 D’innocente cagion malvagio effetto.
 MINUZIO
250E rendermi geloso, allor che amante.
 VELIA
 A bugiardo timor rimedio iniquo.
 MINUZIO
 Puoi tu negar che in Fabio ancor non arda?
 VELIA
 Dir puoi tu che in Ersilia arda egual foco?
 MINUZIO
 Nel suo partir mel disse il tuo dolore.
 VELIA
255Prova fu d’amicizia e parve amore.
 MINUZIO
 È disposta l’amante in cor di amica.
 VELIA
 Minuzio, esci d’error. Posso per Fabio
 nudrir stima e pietade;
 ma un più forte dover mi vieta amarlo.
 MINUZIO
260Mi consoli ad un punto e mi tormenti.
 Temerò, cercherò dunque il rivale
 tra’ barbari numidi?
 VELIA
 Né Cartago né Roma
 vantar ponno trofei sul cor d’Ersilia.
 MINUZIO
265E se libero l’hai, sta in tuo potere
 farmene un facil dono.
 VELIA
 Convien pria meritarlo.
 Rendimi a Fabio. Ottieni la mia stima;
 e l’onesta mercé poi spera e chiedi.
 MINUZIO
270E pur Fabio hai nel cor.
 VELIA
                                              Tu non mi credi.
 
    Su via, persisti, ostinati.
 Che puoi sperar da me?
 Sarà la tua mercé
 disprezzo, onta e furor.
 
275   Te creder posso amante?
 No no, sei mio tiranno.
 Comincia dal mio affanno
 la rabbia del tuo amor.
 
 MINUZIO
 Ferma e d’amor ravvisa
280la più difficil prova. Al tuo ritorna...
 (quanto il farla, ahi, mi costa!) afflitto amante.
 Ma vedi, io verrò poi,
 memore di tua fede,
 ad esigerne il prezzo.
 VELIA
                                         Alma ben nata
285a un amor, che ben serve, è sempre grata.
 MINUZIO
 
    Verrò; ma non mi dir
 virtù, dover,
 nomi che del piacer
 sono gl’inciampi;
290e della ritrosia
 sono i pretesti.
 
    In traffico d’amor,
 favor e cortesia
 son cambi onesti.
 
 SCENA VIII
 
 VELIA
 
 VELIA
295Nel giro d’un sol giorno esser mai ponno
 per la misera Velia
 più affanni? In che mal punto
 giunsi a quel vallo, u’ sposa pria che amante,
 invece d’imeneo fra rose e canti,
300mi si affacciano orrori e stragi e ceppi!
 Senza nulla saper d’Erminio mio,
 se pur mio posso dir chi ancor non vidi,
 eccomi fino astretta
 a mentir l’esser mio. Ma schiava e sola
305qual difesa qui avrò da insidia e forza?
 Quale? Il mio onor, la mia fortezza. Erminio,
 nome, quantunque ignoto, a me pur caro,
 a te mi serberò. Né sorte ria
 né altra forza farà ch’io tua non sia.
 
310   Da due veltri anche inseguita,
 sola e pavida cervetta
 sì per selva or si raggira,
 per dirupi or sì s’affretta
 che ne sfugge il dente e l’ira
315e si adagia in sicurtà.
 
    Qual piacer, se un dì mi è dato
 al mio sposo amante amato
 i perigli e le catene
 rammentar ma in libertà.
 
 Il fine dell’atto primo